
Quando i francesi, circa un anno fa, dovettero scegliere tra Le Pen e Macron furono molto pratici e confermarono un presidente poco amato. Ma non ci fu solo questo. Il giornalista Éric Zemmour, brillante candidato di una destra nuova, dichiarò al Corriere della Sera: “Io rifiuto le parole della sinistra, penso che la battaglia sia innanzitutto semantica”.
Riferendosi a Marine Le Pen, Zemmour aggiunse una critica di particolare valore, perchè trovò come il linguaggio della destra novecentesca abbia recato per lungo tempo un senso di colpa, la vergogna per i disastri dei padri e, di li, una sottomissione intellettuale e politica alla sinistra.
E’ forse soprattutto dalla stizza che nascono i recenti attacchi di Parigi al presidente del consiglio italiano Giorgia Meloni. L’accusa di essere “a capo di un governo di estrema destra scelto dagli amici della signora Le Pen” è sbagliata non solo nella forma ma nella sostanza.
L’ingresso della società civile, entrata in massa nella stanza dei bottoni nell’ultimo decennio, ha creato disfunzioni ma ha aperto in Italia nuove possibilità. Per questo arriva la prima donna premier e con una biografia inedita.
Meloni può, infatti, non riformare la destra come ha fatto Gianfranco Fini, ma rivoluzionarla. E l’occasione è data dalla guerra in Europa dove, al di là della ragione, l’istinto pende per l’Ucraina. E’ attraverso questo ribaltamento di prospettiva che la destra diventa il garante dell’Occidente in Italia.
Quello che è interessante è che, rivoluzionando la destra, si recupera la tradizione. Quella che Carl Gustav Jung trovò nel femminile: un senso della storia conservatore nel senso migliore del termine perchè legato al culto dei valori del passato. L’Archetipo della madre è un saggio prezioso che indaga questa dinamica. L’avevamo visto quando la destra iniziò a governare la Sicilia.
La divaricazione con il mondo di Forza Italia, che spesso è incomprensibile, deriva dalla presenza, in quest’ultima, di componenti progressiste proprie della cultura nazionale ma non della destra. Si tratta, più o meno, di quelle espresse dai socialisti milanesi negli anni 80 del secolo scorso, necessitanti di tutela dopo gli eventi di Tangentopoli.
Però l’attacco della Francia introduce anche un’altra questione: se le divisioni in Europa non debbano solo essere geografiche ma tornare programmatiche, politiche in senso pieno. Se, infatti, l’attacco non è all’Italia ma alle destre europee, a dividere non sono i confini geografici ma ideali. In vista, forse, di una Europa unita (finalmente) dalle cose da fare insieme sulla base di visioni comuni e non di interessi nazionali?