
La fine della prima repubblica è stato il divorzio tra cultura e politica, la fine della politica come dialogo e confronto, come ricerca, compromesso, sogno, astrazione, lettura, viaggio, cinema e arte. La rete che propaga la violenza verbale, l’invidia sociale e l’odio è figlia dell’omonimo movimento politico che negli anni 90 glorificava i giudici, voleva le manette facili, il sospetto anticamera della verità.
Che il linguaggio della politica attuale non sia codificato, che sia inadeguato ai problemi, equivoco e immorale, è evidente, ma la decadenza del linguaggio ha origine lontana. Che il problema del denaro non sia stato risolto è altrettanto evidente e ha una spiegazione logica. Perchè, in politica, puoi fare sparire il problema ma non puoi fare sparire il denaro.
Lo statista di origine siciliana Bettino Craxi, in un’aula di tribunale, profetizzò la videocrazia, ricordò che il sistema di finanziamento della politica irregolare o illegale consentiva l’esistenza di giornali e riviste, favoriva la diffusione delle idee, di quel mondo immaginario di aspettative e bisogni, a volte confusi, bizzarri o menzogneri, ma che costituiscono l’anima individuale e collettiva.
Chi vuole togliere i fondi all’editoria è lo stesso che volle distruggere i partiti organizzati. Che la società sia peggiorata per colpa della politica è probabile, che la politica sia peggiorata per essersi separata dalla cultura è sicuro.