
Stare con i piedi per terra, ovvero non fantasticare, non sognare ad occhi aperti, guardare le cose per quelle che sono, non lasciarsi rapire dall’immaginazione. Terra come luogo che ospita le radici, familiari o personali e, in quel caso come in pochi altri, recupero di quel fondamentale frammento di vita interiore che resta l’infanzia.
La cultura della caccia, se diventa razzia e sistematico saccheggio, rende l’uomo un “animale da combattimento” lo ha ricordato di recente su Repubblica il direttore Maurizio Molinari. Coltivare la terra, invece (ma l’attività di semina e raccolta in generale) richiede tempo e dedizione, amore e visione del futuro.
Accade in uno spazio chiuso e delimitato che diventa anche residenza, luogo di lavoro e di affetti. Il coronavirus ha imposto soprattutto una rilettura della nostra vita sulla terra, a cinque anni di distanza dall’Esposizione Universale di Milano che aveva focalizzato sul tema e dall’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco sul rispetto della casa comune.
L’home working è una delle eredità della pandemia e rimanda al concetto di ufficio, alla sua dimensione immateriale: dovere, servizio, cortesia. Ma anche e soprattutto carica, funzione.
Difficilmente, senza un effettivo controllo, quando manca una forte base morale, esso è quello che dovrebbe essere. Diventato luogo di malaffare, di sistematica violenza e rapina esso cessa di essere quello che è. Il male penetra nello stesso luogo fisico, diventa luogo maledetto, cessa di essere quello che si era deciso che fosse.
Il pianto di un militare disvela tutta la sua fragilità occultata da una mostruosa maschera di avidità e sadismo, come nella lotta di Mad Max contro Blaster, la sequenza di Mad Max Beyond Thunderdome: il film del 1985 con Mel Gibson che risparmia al disabile la martellata del giudizio.
Dietro al mancato riconoscimento della propria fragilità c’è tutta intera la mancanza di rispetto per la fragilità altrui, quella del tossicodipendente, del migrante o della prostituta. Tradendo gli altri si tradisce se stessi e l’istituzione che si serve.
Ma, forse, siamo di fronte a una tragedia più grande, a volere fare proprie le riflessioni di Carl Schmitt, il grande giurista che intuì come la forma dello Stato si modelli, nelle sue profonde strutture e fondazioni, su quella della Chiesa Cattolica.
Come se, nelle chiese di Francia in fiamme, venisse evocato il grande incendio degli apparati pubblici grandi e piccoli, delle strutture burocratiche di ogni latitudine. Nell’incendio della casa comune che chiamiamo terra rischiano di finire in fumo tutti i luoghi circoscritti con regole che vengono violate, conflitti d’interesse permanenti, sistematici abusi, linguaggio paramafioso.
Di fronte a un rischio così alto, sembra inopportuno creare nuovi vincoli e regole più stringenti. Occorre, invece, dare fiducia ai singoli individui, premiando senso di responsabilità e spirito di solidarietà. Il primo è tipicamente americano, il secondo europeo. Senza schiaffoni e minacce, scariche elettriche e bordello nelle caserme, anche a costo di doverle mettere tutte sotto sequestro o chiuderle per sempre.