
I primi a criticare la globalizzazione furono i critici del capitalismo. A scrivere i titoli di coda sono i reazionari. E il fato. Il mite popolo cinese è colpito da una tragedia che spacca, nuovamente, il mondo a metà. Sembra riportare le lancette della storia al tempo prima della caduta dei muri.
Il coronavirus, o qualunque altro male che si diffonde in quel modo, non è una malattia come le altre. Ha il potere di rompere i legami sociali, impone una presa di distanza fisica, restituisce alla geografia la sua autorevolezza. Ma è anche, e soprattutto, qualcosa che divide: ciò che fa, per definizione, il diavolo. Non per nulla il simpatico e operoso presidente Xi ha detto che il virus è un demone.
La peste viene evocata quando si parla di società malata, come nel caso dei totalitarismi, della droga e della violenza diffusa, qualunque sia il suo genere. In effetti, riappare anche questo, con episodi di razzismo, di intolleranza, di cattiveria gratuiti, spesso goffi o bizzarri. Ma l’effetto provocato dal terremoto in corso sarà anche benefico, perchè nella divisione ciascuno ritroverà la propria segreta unità.
La religione non basterà a generare un nuovo mondo. La politica, al tempo dell’individuo che ha imparato a decidere per sé, non ha più la forza del passato. L’economia conta e, infatti, i primi legami a spezzarsi tra Oriente e Occidente saranno quelli materiali. Qualcuno pensava che esistessero solo i virus informatici? La nuova forma del mondo dipenderà dalla combinazione di questi elementi, ciascuno per proprio conto trasformato, dalle giuste dosi di libertà e sicurezza, materia e spirito, tecnica e natura, dalle scelte che ciascuno saprà fare. E dalla mano invisibile che, da sempre, traccia la rotta.
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