Decidere, purchè sia Europa

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La grande riforma, mai attuata, dai tempi di Bettino Craxi e del decisionismo. Quella che Silvio Berlusconi, con grande intuito, insospettato per un imprenditore prestato alla politica, considerava lo strumento per superare il centro da paura, ovvero la paura di decidere, c’entra con l’Italia e con l’Europa.

Se il filo dovesse entrare nella cruna dell’ago, il Vecchio Continente parlerebbe una sola lingua su esteri, fisco, immigrazione. La prova che l’Europa è una politicamente sarebbe la formazione di una opinione pubblica europea che non c’è ancora e, soprattutto, non c’è stata lungo anni in cui il grande capitale ha saputo sedurre grand commis e infiltrarsi in regolamenti e direttive. La parte più importante, la difesa, proprio quella più problematica.

Il caso dell’azienda acquedotto di Palermo, antica capitale della Sicilia, dimostra un passaggio essenziale. La corruzione non è più la dazione ambientale scoperta negli anni Novanta del secolo scorso ma, oggi, banale maladministration. Non quindi una questione di molliche, ma di mancanza di pane, ovvero di governo. Forte, debole, sano o corrotto che sia.

Si tratta di una inchiesta che parte dal cuore dell’Europa. Si immagina che lì siano tutelati valori, regole, diritti, mentre le opere dovrebbero progettarsi mai più lontano che Roma. Il rischio (evocato da Mario Draghi) è che l’Unione resti semplice mercato unico.

Forse anche per questo, prima a Roma e ora a Milano, i giudici non se la sono sentita di affermare l’esistenza di una mafia nazionale, sebbene il progetto ci fosse. Forse per non dargliela vinta e provarci, a salvare lo Stato. Fuori tempo massimo.