
L’ unità italiana è l’ unità di tutti i familismi, di ogni sfumatura del relativismo etico e di tutte le declinazioni della creatività – dal cafonesco dello spoiler sulle utilitarie e dei nomi mutuati dalle telenovelas all’ essenzialità dell’ architettura, della musica e di quell’ arte prêt-à-porter che è la moda. In questo c’è la spiegazione postuma della persistente influenza esercitata dall’ imprenditore che si fece politico venti anni fa. L’ Italietta non può affondare perchè con essa affonderebbe l’ Italia e lo sa bene anche il presidente della Repubblica che dovrebbe, però, spiegarlo a chi la dipinge con toni grotteschi o ignominiosi. Quell’ Italia sa di non essere ben accetta nei salotti ma séguita a contare, anche se dietro le quinte, perchè ad essa non difetta la cultura del rischio, quella che manca ai populisti i quali sanno chiedere voti solo a coloro che non possono non darli. I populisti, senza le élite, sarebbero capaci di tenere in scacco il sistema in eterno, come quegli studenti svogliati che hanno sempre bisogno dell’ aiutino. Il populismo non impone scelte e, in questo, è incompatibile con il rischio politico. Solo quando qualcuno avrà riconquistato la forza e la credibilità di presentarsi alla elezioni sapendo che perdere è una possibilità sarà possibile archiviare il conflitto di interessi. E in quella archiviazione ci saranno i motivi per i quali il conflitto d’interessi è stato tollerato così a lungo. Senza ricevere le scuse per tutto l’ orrore che ha prodotto e consentito.