
Se il presidente del Consiglio incaricato si definisce avvocato del popolo c’è materia per discutere intorno a cosa sia diventato lo Stato e, con esso, il Parlamento che dovrà dargli la fiducia, quello che Hegel definiva il porticato tra lo Stato e la società civile.
Lo Stato italiano, anche quando fa cose buone, non le discute più con i cittadini perchè i partiti sono diventati club elitari, stanze insonorizzate, scatole nere. Gli italiani ascoltano parole vuote o, più spesso, frasi sgrammaticate pronunciate nelle camere e diffuse attraverso la televisione. Discorsi, a loro volta, sommersi dalle bugie propalate ad arte, dalla propaganda sfascista, dalle polemiche pretestuose.
Non è uno Stato amico, nel significato che Cristo dava alla parola amico, ovvero di una autorità che condivide le decisioni, che non le impone come fa il padrone col servo, il quale obbedisce acriticamente, senza vedere né sentire. Ma l’avvocato è in grado di difendere l’ assistito se questi gli dice la verità: “mai mentire all’ avvocato”.
E, allora, se un patto tra cittadino e Stato va ricostituito, esso non può nascere dalla menzogna ma da una serena autocritica di tutti e di ciascuno, da una ammissione, persino una confessione. Forse occorre un avvocato oggi per essere liberi domani. Quando non ci sarà più bisogno di difendersi da uno Stato giudice, probabilmente né imparziale né giusto. E quando si otterrà naturalmente ciò che consegue all’ esercizio del voto: un governo, istituzioni stabili. E la dignità dello Stato nello scenario internazionale difesa dallo stesso avvocato della società civile. Chiamato, quindi, a una doppia difesa.