Eredità di Wojtyła nel mondo che cambia

ph Agatha Depine on Unsplash

A volte la sua durezza incute timore. Ma, a proposito della chiusura del luoghi sacri, del venir meno della Chiesa in carne e ossa, Francesco ha cambiato tono, pacato nel dire una frase che scolpisce un momento epocale: “Non viralizzare la chiesa, non viralizzare i sacramenti, non viralizzare il popolo di Dio“.

In dialetto si dice di uno che parra muoddu e impiccica duru (parla morbido e colpisce forte ndr). Il virus, infatti, ci ricorda che siamo tutti di carne e ossa, una livella, che uccide senza guardare in faccia nessuno. Siamo, dunque, tutti uguali di fronte al coronavirus? Sembrerebbe di si. E uguali di fronte a Dio? Per chi ha fede, come ebrei e cristiani, certo che si.

L’uguaglianza di fronte al virus premia però, nella realtà dei fatti, chi è forte, resistente, chi è ricco da potersi permettere una quarantena di lusso. Uccide, più spesso, poveri e anziani. A Manhattan i numeri sono bassi, nel Bronx alti. La fede è uguaglianza che premia chi soffre. E l’ebraismo torna, sempre, al terribile punto di partenza della giustizia. Ma non quella dei tribunali. Quella autentica, terribile, del Dio d’Israele. Proprio per questo detestata dai giudici di Palermo.

Ci scaraventa in faccia tutta la sua potenza la Rete, espressione massima della tecnica. Senza Internet, questo mondo, connesso e confinato, avrebbe vissuto una catastrofe materiale e morale senza rimedio. Ma la Chiesa e i cristiani non possono accettare che il virus diventi il nuovo Dio da adorare. E non sarà la tecnica a salvarci da questa e da altre epidemie. Ecco cosa significa “Non viralizzare la Chiesa”. Covid-19 restituisce ai pubblici poteri ciò che spetta loro: la tutela della sicurezza e della salute pubblica. Ma Gesù aveva detto Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio.

Francesco ha nel nome il ritorno alle origini e assiste alla  fine di un mondo, alla costruzione di barriere tra individui, città e nazioni. Giovanni Paolo II fu testimone e fautore di un cambiamento che vide nella demolizione del muro di Berlino la sua immagine iconica. Quel grande Papa, di cui si celebra quest’anno il centenario della nascita, pose fine alle ingiustizie del comunismo che non solo vedeva ma, in quanto polacco, sentiva. Sapeva anche che l’unica alternativa possibile erano libertà e tolleranza, senza precipitare in tentazioni opposte.

Il messaggio di Bergoglio rimanda a quel tempo, speculare ma di eguale gravità. Giovanni Paolo II vide il pericolo del mondo nuovo nella polarizzazione della ricchezza e del potere. Nel monito contro la viralizzazione c’è, invece, l’indicazione del pericolo totalitario. Ma, entrambi, sono pastori della religione dell’amore (l’unica che fà dell’amore la sua pietra d’angolo). C’è, nella ricostruzione, il rischio di una dilapidazione della ricchezza e del potere, attraverso la loro pubblicizzazione e controllo. Una prateria del tutto eguale nella quale conterebbe l’intelligenza (artificiale), ma non il cuore.

 

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Al di là del muro

 

 

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