
Per ragioni di principio e di identità, di etica, perchè quello è. Se si tratta di fare politica come gli antichi e non come i moderni, insomma, non si dovrebbe avere paura di “smontare circa la metà dell’economia italiana e anche un bel pezzo del campionato di calcio” ciò che, secondo Massimo D’Alema (intervista al Corriere della Sera), imporrebbe riportare non solo l’Italia ma il mondo a prima della globalizzazione.
Quel processo, reso brutale all’inizio del secolo e che nessuno pretende di archiviare (come, d’altra parte, non si può tornare a Socrate e archiviare Machiavelli), ha generato relazioni con chi non rispetta i diritti umani. Il celebre dirigente del Pci Emanuele Macaluso, proprio nell’anno 2000 allo Steri di Palermo, stigmatizzò la separazione tra politica e cultura e, forse, vide già la pericolosa subordinazione della seconda alla prima.
E, quindi, prima la Cina sul piano generale, poi la Russia su quello della sicurezza e, ora, gli altri – che cercano di perforare l’ordine occidentale – stanno facendo, in un modo o in un altro, un passo indietro. Certo, è spaventoso che gli altri, se usano il denaro per comprarci, alla fine, insomma, gli altri siamo noi, e non è più quella bella canzone di Umberto Tozzi.
L’Italia è il centro di questo processo – sembrerebbe Bergamo il centro del centro – e deve nuovamente affrontare almeno due sfide. La prima è quella dei territori da unire: si tratta di fare diventare la questione settentrionale e la questione meridionale un’unica questione nazionale.
Che sia lo Stato a farlo o un partito-Stato è una questione secondaria, perchè quello che conta è l’obiettivo da raggiungere ma, certo, non si può pensare di dividere i conservatori dai progressisti se si deve affrontare una cosa del genere.
La seconda sfida è, infatti, guardare al di la e al di qua del fascismo, cioè recuperare quella parte della tradizione che è andata perduta nel Novecento o che è marginale e ininfluente. Dalla riuscita di questa operazione scaturirebbe un partito della Nazione e, quindi, aperto, oppure meno aperto, ma in grado di dialogare con l’altra parte.
Quello dei diritti, visti da nuove prospettive e in maniera non dogmatica, può essere il terreno di dialogo, a cominciare dall’abbandono del giustizialismo. Ma coniugare legalità, ovvero una cornice di civiltà e rispetto delle regole, e garanzie minime per i cittadini richiede a tutti un passo indietro. Quello che già si impone a chi voleva entrare in casa senza essere invitato o chiedere il permesso. Cioè gli altri che, troppo spesso, siamo noi.