I giornali, il prima e il dopo

ph Orlando Gutierrez on Unsplash

Sequestrare o confiscare la proprietà di un editore resta una follia, astrattamente considerata. Il peggio è che ciò accada nell’ indifferenza generale, oppure provocando la soddisfazione dei giacobini di sempre per essere stato violato l’ ennesimo santuario del potere, accompagnata dalle reticenze sulle relazioni che i business men ovunque nel mondo intrattengono con questo o quel politicante. Quello che infastidisce di più è, forse, il silenzio degli editori nazionali, dei grandi industriali che hanno, recentemente, fatto accomodare nella stanza dei bottoni improbabili apprendisti stregoni, quella ipocrita borghesia milanese che, a suo tempo, rese fascista l’ Italia. Il fascino del giornale è che è, allo stesso tempo, un prodotto culturale e un prodotto commerciale, flessibile al punto da piegare la prima ispirazione alla seconda restando utile, credibile, divertente. Si tratta di un equilibrio difficile nel quale pesano storia, costume, l’ attimo fuggente, i conti pubblici e quelli privati. Il timoniere ha da fare un lavoro complicato e difficile. E, forse, se tende a circondarsi di yes men mediocri e ignoranti sbaglia. Vero è pure che quando un magistrato chiede scusa se per quarant’ anni nessuno si era accorto che un giornale fosse finito nelle mani della criminalità organizzata confessa candidamente una cosa terribile. E, cioè, che la magistratura non solo non risponde del dopo, dell’ eventualità che niente avrebbe giustificato processi, misure violente e offensive. Ma non risponde neanche del prima, di fatti consegnati alla storia, legati a contesti evaporati, forse cancellati dalla memoria. Non badare al prima e al dopo fa paura quando si ha la pretesa di riscrivere la storia a colpi di sentenze.

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