
Fu lo Stato a monopolizzare la tecnica, a fornirle un unico vocabolario, uniche gestualità e forma. Leader sociali americani, entrepreneur francesi e poeti italiani, in tanti lo sfidarono, cercando di versare granelli di sabbia nei suoi meccanismi, anche solo per gioco, per piacere, for pleasure, for fun. Lo Stato ha lottato e ha resistito. Fino a quando? Facciamo fino alla caduta del muro di Berlino, evento del quale, tra pochi giorni, si celebra il trentesimo anniversario.
Come, come ha fatto lo Stato a resistere tanto tempo alle pulsioni di tanti singoli individui? Certo non avrebbe potuto se non avesse avuto a disposizione strumenti poderosi, le grandi costruzioni ideologiche e letterarie di uno o due secoli prima e, soprattutto, l’eredità del secolo quadrato, duro e maschio come la ragione, il diritto, il sentimento e la passione: l’Ottocento.
I partiti politici non avrebbero potuto organizzare le masse senza attingere ai contenuti di quelle grandi produzioni dal pensiero umano. Il cinema, uno dei grandi misteri del Novecento, ha saputo, invece, dare un volto, un suono e una immagine a ogni battito del cuore. Ma il sangue del Novecento era già nel sacrificio dei grandi maestri della letteratura che diedero vita ai romanzi, al romanzo.
Il Novecento non è stato il secolo della costruzione. Bensì del suo opposto, che è la decostruzione. Esso è chiamato il secolo della psicologia. Le emozioni che il cinema ha proiettato in sale oggi, ormai, cadenti come quella che si vede in Escape from New York, il film del 1981 di John Carpenter, sono online come lo sono le immagini prodotte sui social o nella pubblicità di Google. Internet è lo Stato globale del nuovo secolo, la macchina artificiale che, per identificare lo Stato, fu efficacemente identificata qualche secolo fa con un mostro: il Leviatano.
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Quello Stato che è nemico dell’uomo