Il Papa e la città

Il tempio della Concordia ad Agrigento

Città era Sagunto, espugnata come la capitale della Sicilia, nella metafora del cardinale Pappalardo. La più bella città tra i mortali era Agrigento, scelta da Giovanni Paolo II per voltare pagina alla storia “Una volta verrà il giudizio”. Città definita il fiore dai fenici è quella che ospiterà Papa Francesco tra dieci giorni. Una bel saggio del giurista Mario Ascheri è dedicato alle città-stato nel Medioevo. Un libro di nicchia, si direbbe, che serve a spiegare che il paese più bello del mondo, dove ha la fortuna di vivere anche il capo della Chiesa cattolica, deve la sua civilizzazione soprattutto alle città e le città-stato vi hanno avuto un ruolo particolare, a lungo misconosciuto. Nel libro si parla di tasse, angherie e perangherie, dei cristiani al tempo dei comuni medievali e dei mali cristiani, la cui presenza non è mai stata cancellata anche dalle nostre parti. Sembrerebbe che la storiografia  di stampo risorgimentale e fascista, ma anche gli storici attuali, abbiano paura di riconoscere alle città il valore della vita associata, l’ esperienza politica, civile, la loro vitalità estetica e culturale. Ma tutto questo è nei fatti. Si discute, in queste ore, intorno ai finanziamenti alle periferie. Come sorprendersi se vengono tagliati i fondi a pezzi di città, se, già, in quel nome orripilante periferie essi preannunciano la propria emarginazione, la sconfitta, l’ oblio? Ecco perchè l’ occasione della visita di Bergoglio serve, tra le tante altre cose, per domandarsi  se sia possibile – come crede qualcuno – fare a meno della politica per affrontare, discutere, sanare, risolvere i problemi della società. E se sia credibile che la società del futuro distrugga i posti di lavoro anzichè crearli. La Chiesa è rimasta la più solida tra le più antiche istituzioni occidentali anche per avere consentito alle città di restare luoghi di aggregazione di persone, bisogni e civiltà. E’ importante ribadirlo proprio dove farlo è più difficile.

 

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