
L’elemosiniere del Papa, Konrad Krajewski, ha riacceso le luci di una casa occupata, l’edificio ex Inpdap di via di Santa Croce in Gerusalemme a Roma, la città che evoca il diritto, romano, per l’appunto. E che, per mestiere, il cardinale calpesta in nome di Dio e per conto del capo della Chiesa Cattolica. Negli angoli delle strade delle città italiane, sempre più spesso, donne e uomini, bambini e anziani tendono la mano con il palmo rivolto verso l’alto a chiunque essi incontrino, senza la furbizia del venditore che conosce bene il cliente, sa dove colpire per ottenere ciò che vuole, incassa la vendita e financo il rifiuto, la rinuncia al guadagno, con la forza del cristiano, ovvero quella di resistere alle tribolazioni. A volte l’elemosina è un gesto seriale, un automatismo. Altre, dietro le finte benedizioni, o nascoste nella non autentica gentilezza di che implora lo spicciolo, ci sono ricchezze accumulate chissà come, il vizio, la violenza domestica e la protervia di chi non vuole rendersi utile ai propri simili. Ma la povertà arriva anche dove non dovrebbe. La fortuna che gira, i cortocircuiti della vita, la malattia. Il rigore nasce dalla paura, quando società, economia e cultura sono in crisi, ma rigira il coltello nella piaga. Capita, infine, che qualcuno abbia veramente bisogno. Non vuole, però, tanto una moneta che non gli cambierà la vita, ma desidera che quel gesto di chiedere venga ricambiato dal gesto di dare. Come se, nella modernità soffocata dal denaro, riemergesse quel bisogno antico che la filosofia greca indicò come desiderio di riconoscimento. Accendere la luce può essere anche sbagliato o illegale, ma aiuta a riflettere sul significato del dono. La strada sgombra della legge o quella del soffice benessere non prevedono questa dimensione. Essa è, infatti, tipicamente cristiana. Il cardinale Krajewski non vuole pagare le bollette, ma solo schiarire il buio dell’indifferenza.