L’insostenibile leggerezza del dispotismo

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Nei partiti organizzati il potere si conquistava attraverso la lotta, anche fisica. Contava la forza di parlare fino allo sfinimento. Era importante l’ autostima e non c’era il tempo di andare dallo psicoanalista. Cionondimeno, si resisteva all’aggressione morale, all’insinuazione o al dileggio.

C’era la selezione dei più forti, abili, capaci, ovvero i migliori che, a volte, erano anche i peggiori. Non è detto che gli intellettuali non venissero valorizzati. La sofisticata arma della cultura nobilitava tessere e rotoli di banconote. La rete ha finito per sottrarre alla politica il sudore e gli sputi, ma anche il cuore e il pensiero. Ha cambiato posizione alla politica che non è più fatta di convocazioni e comizi,  ma è una distesa di condivisioni, di like e commenti più o meno pertinenti.

L’uniforme prateria della politica genera un nuovo e pericoloso verticismo perchè gli sottrae il timore, la guerra e la vittoria. La strada in pianura per la poltrona di despota è troppo comoda. L’insostenibile leggerezza del dispotismo è la versione aggiornata dell’illusione decisionista dei sindaci italiani degli anni 90, quando il movimento politico che produsse il primo modello dispotico su base locale della seconda repubblica alludeva proprio a una rete.

Quel lato oscuro della rete che avrebbe fatto eleggere il presidente americano Trump rischia di contare anche alle prossime politiche. Solo che mentre Trump sembra un necessario paradosso della storia americana e mondiale, non è altrettanto certo che in Italia ne occorrano altri.

 

 

 

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