
Quando la lunga stagione delle amministrazioni progressiste (molti la chiamano primavera) di Palermo sarà realmente e non virtualmente conclusa, vedremo cosa, nella capitale della Sicilia, avrà prodotto di non modificabile, di permanente, nella cultura e nella pratica.
I gesuiti volevano che si orientasse lo sguardo in quella direzione, che si squardernassero i partiti tradizionali, mettendo in luce i danni dei giochi di corrente che corrispondevano a cordate nella società, nell’economia, nel mondo sottostante. Ma detestarono la fretta (che è figlia dell’ambizione) e questo provocò molte divisioni.
Il movimento La Rete accompagnava la globalizzazione, richiamava Internet, negli anni Novanta allo stato embrionale. La sua dimensione orizzontale e inclusiva ne rappresentava forma e aspirazione.
Altre forze spinsero in altri luoghi e, tra tutte, spiccava Forza Italia con il suo capo. La tensione più forte fu, sempre, nel punto in cui effettivamente mostrava lati oscuri il potere progressista, allora come oggi: la giustizia.
C’è, ancora una volta, una rottura a proposito del governo del mondo. La guerra ci scaraventa in faccia di cosa si nutra il potere nella sua autentica consistenza. E l’Ucraina domanda, anche a Palermo, chi ha veramente bisogno del nostro aiuto, in quale direzione le istituzioni locali vorranno tendere la mano.
Quanto alla giustizia, nessuno che sia in buona fede può auspicare che la magistratura sia sottomessa o intimidita.
Ma se il fascismo aveva nella violenza pura la sua forma estrema di legittimazione. Se, nella repubblica dei partiti, il gioco delle spartizioni e, alla fine, il denaro, erano ciò che riportava ogni cosa al suo posto, va detto che a partire dal 1992 in Italia l’ultima parola spetta alle Procure. Tale questione va rapidamente risolta, proprio cominciando da Palermo.