La morte ti fa bella

braccio meridionale di via Maqueda (particolare)

Che non sia la morte a destare spavento, a generare angosce, a provocare turbamenti, a fissare il dolore, bensì la sua serialità, la sua perdita di senso, quella a cui alluse l’ assassino di Padre Puglisi che, ogni giorno, astutava qualcuno e riconobbe, successivamente, essersi trasformato in una macchina  per uccidere, proprio come in certi film americani. Carl Gustav Jung dedicò al tema della morte uno scritto di rara eleganza individuando la condizione di colui  che rifugge alla vita per metà della propria vita per paura della vita stessa e rovesciando, poi, il rapporto con la morte nell’ ora segreta del mezzogiorno della vita in cui s’ invera la nascita della morte. Ma quello che stupisce delle incredibili riflessioni del grande studioso è la metafora del proiettile, indirizzato verso il punto stabilito dal destino, la ineluttabilità della dimensione finalistica dell’ esistenza umana, insomma, ricordati che devi morire. La moltiplicazione dei proiettili sparati nella città che concepisce la morte come qualcosa di familiare faccia riflettere sul significato profondo della morte stessa, che appartiene alla vita essendone il riflesso più autentico. Quasi che, nella familiarità con la morte, nella piena coscienza della sua concretezza, Palermo si avvicinasse all’ immortalità più e meglio di altre città, e nel riconoscere la morte nella vita avesse trovato la grazia per afferrare le cose divine senza profanarle. Quasi che l’ erotismo della città sdegnasse, sprezzante, la triste ironia napoletana o il cinismo romano.

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