La profezia del grande editore

ph Nick Karvounis on Unsplash

Nessuno ricorda più la profezia del grande editore italiano, il quale esplicitamente dichiarò a un periodico specializzato, quando ancora tutti facevano gli schizzinosi, che occorresse aiutare la carta stampata a fare soldi. I giornalisti, spiegava quest’ uomo astuto e concreto, sanno scrivere, e allora, che diamine, siano le grandi firme a scrivere gli articoli di pubblicità. La profezia venne riportata nel saggio di Vittorio Roidi “La fabbrica delle notizie”. Oggi che la professione non è solo in crisi di liquidità ma, anche, di identità, vale la pena di riflettere sulla origine del giornalismo e del giornale, arma potentissima che gli imprenditori hanno sempre usato come strumento per difendersi dai pubblici poteri, quando lo Stato – quel mostro terribile cui si diede il nome di Leviatano –  si mostra nella ferocia della legge, delle tasse o con l’artiglio cinico e baro delle manette, della persecuzione infame dell’ eroe creatore e creativo che ama il denaro quanto la vita. Altro che quel miserabile cronista al quale i più giovani sono stati abituati a pensare, che gode di tragedie politiche e personali o persino dell’ esplosione di una bomba, di un missile scagliato contro innocenti, impegnato a costruire fortune professionali fondate sul nulla. Ecco perchè il blogger pagato per scrivere di un albergo o di un ristorante altri non è che la versione bonsai del giornalista di sempre, di un tempo in cui insieme con le ideologie tramonta pure il sentimento.

 

 

 

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