
Il cofondatore di Wikipedia ha lanciato, recentemente, l’idea di un social network focalizzato sulle news. E, questo, nientemeno che per combattere le fake news. I professionisti dell’informazione – che si chiamano giornalisti – avrebbero, dunque, uno spazio dove pubblicare notizie neutrali e verificate.
I nemici da sconfiggere sarebbero i social, il cui modello, legato alla pubblicità, favorirebbe la dipendenza, la polarizzazione e la radicalizzazione delle posizioni e, quindi, “discorsi di odio“.
È certamente da annoverare tra le buone notizie che qualcuno si preoccupi di chi lavora con le notizie, per carità. Ma che questo strumento possa cancellare il desiderio perverso di mentire o di offendere, che faccia diventare tutti più buoni come quando è Natale dubitiamo che possa verificarsi, neanche con notizie verificate, col bollo e la firma in calce.
Su Wikipedia si scopre, per dire, che un giornalista italiano importante sia il più celebre del secolo scorso. Sembra una frase innocente, ma se non specifichi che non lo è del mondo ma d’Italia stai diffondendo un fake. Chi fa il giornalista sa che basta un aggettivo in più o in meno per dire due cose diametralmente opposte.
Su Facebook ci sono certo i falsari e i falsi ma, spessissimo, vengono postati link a giornali noti e affidabili, alle agenzie titolate, alla stampa estera di qualità. Se uno vuole non ci cade. Poi, certo, c’è il gossip, la pubblicità. Ma, quella, c’è sempre stata. Tra l’altro è sempre stata ciò che teneva in piedi i giornali, oltre che l’anima del commercio. Sulla politica il discorso cambia. Ma quante corbellerie si sono sempre dette durante una campagna elettorale.
Invece, questa idea sembra tristemente ispirata alla altrettanto triste logica dell’antimafia. A questo rimanda, infatti, un luogo virtuale che si autoproclama portatore di una verità assoluta, alla quale gli altri sarebbero tenuti a uniformarsi.
La verità sta sempre nel mezzo e, proprio per questo, non sta nel mezzo. Essa nasce dal confronto tra chi vuole vendere e comprare, tra chi comunica sentimenti o pensieri diversi o confliggenti. L’odio stesso non si può bandire perchè, per quanto negativo, è un sentimento facente parte della dimensione umana, virtuale o meno.
E non è neanche detto che chi scrive bene odi di meno di altri, che chi abbia studiato non odi affatto. Per raddrizzare il legno storto che è l’essere umano non basta un nuovo social network.
Invece, il premo Pulitzer per il giornalismo di commento, l’americano David Leonhardt, sul New York Times ha proposto, tempo addietro, un modello diverso. Proprio nel giorno del Black Friday, così importante per marcare lo stato di salute dell’economia americana e non solo di quella, ha chiesto che venga data una mano (economica) alla stampa locale (anche telematica).
Non è Facebook, infatti, che rischia di uccidere la democrazia, ma essa muore con la fine dei giornali locali. È nell’arena della civitas che devono riprendere il dialogo istituzioni pubbliche, imprese e cittadini. Ciascuno dichiari le proprie esigenze. Se l’economia locale arranca è segno che le policies sono insufficienti. Una informazione forte aiuta l’una e le altre. E Facebook può dare una mano a tutti. Ogni cosa dipende dall’uso che se ne fa.
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Lo shopping, la stampa locale e la democrazia
La profezia del grande editore