
I cultori del libro e della lettura fanno sorridere le persone dotate di senso pratico. Le quali, per carità, hanno qualche ragione perchè nella lettura, in questa attività così difficile da afferrare e, spesso, da comprendere, c’è qualcosa di illusorio. Si tratta, infatti, prima che di ogni altra cosa, dell’ascolto di monologhi di qualcuno dei grandi del passato ai quali restituire riflessioni che non si faranno mai o, ben che vada, parole che si sussurreranno così piano da non essere sentite. Scrittori, letterati o filosofi hanno, talora, trovato conforto alla propria solitudine e alla incomprensione riempiendo pagine vuote. Magari inconsapevoli che potessero diventare spunto per dialoghi a distanza tra persone infelici. Ma nel tempo e nello spazio riconosciuti in tutta la loro ampiezza e profondità c’è, già, la misura della distanza dal tempo che viviamo (vedi L’Europa pigra e il presente che uccide).
La forza segreta della lettura non sta tanto nel detto quanto nel non detto cui riconduce una attività che penetra nel profondo della mente e dell’anima, riannoda legami col passato, restituisce la limpidezza del cristallo al senso della propria vita e di quella degli altri. Si rimprovera alla tecnica applicata alla comunicazione di avere elevato il copia e incolla a stile di vita. Per fortuna ciò non accade al libro stampato, fissato nella storia per sempre con i suoi capitoli, agganciati l’uno all’altro con fili d’acciaio, e il sigillo dell’autore che, appunto, ci ha messo la firma. Per questo, il libro assurge a metafora di un mondo che rischia di scomparire, non solo come strumento, come media, ma anche nella sua dimensione fisica, quasi carnale. Proprio quando sembra naufragare ogni cosa nel mare invisibile delle connessioni virtuali.