Lo Stato forte, l’Europa e il mondo

ph Ágatha Depiné on Unsplash

Si reputa opportuno che la scelta del prossimo presidente della Repubblica cada su una personalità fuori dalle contese e dalla negoziazione tra i partiti. Il governo gode della fiducia di molta parte del parlamento e il suo capo – che è una cosa nuova – di quella della comunità internazionale e delle istituzioni europee. Ma il futuro non è facilmente prevedibile.

Si può immaginare, oggi, di unire in una stessa figura funzioni di governo e funzioni di garanzia? Si può, cioè, portare a termine quel processo sempre interrotto che si definì, e sono passati 40 anni, la grande riforma? Oggi un governo forte serve soprattutto a garantire una adesione all’Europa che non sia premessa di subalternità e fonte di mortificazione.

Lo Stato cede parte della sovranità ma recupera il suo ruolo: da subito nella tutela e nel sostegno a imprese nazionali sottoposte a una sempre maggiore pressione dentro lo spazio dilatato del mondo senza confini generato dalla caduta dei muri. La difesa delle imprese non si traduce in ingerenza, bensì in interesse nazionale riflesso in interesse privato perchè delimitato – quest’ultimo – dal territorio, dai confini e dalla propria vocazione.

La nuova localizzazione statuale resta problematica: un governo ancorato a una visione europea elimina i rischi autoritari ma lo Stato edificato durante il fascismo e passato attraverso la democrazia repubblicana oggi è indebolito da politiche di reclutamento del personale sbagliate, dall’assoggettamento a interessi di parte che a volte si palesano in modo chiaro, altre no.

Occorrerà presto restituire il proprio ruolo alle città e alla società civile (che trova nelle città l’arena ideale in cui dichiarare se stessa e le sue aspirazioni). Ci vorrà un passo indietro dello Stato per consentire la crescita di iniziative locali senza troppa paura del moto irregolare della società civile e dei suoi protagonisti.

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