Lo Stato infeltrito di Piazza Duomo

ph Mona Dennaoui on Unsplash

Uno Stato piccolo piccolo, come certi maglioni infeltriti, assiste ai funerali di uno degli uomini chiave del Novecento italiano, personaggio di cerniera tra due secoli, forse millenni. In principio era il pallone, poi il resto. D’altra parte, nel secolo scorso il socialismo tricolore, citrigno e pensoso, prese le mosse dalla vittoria ai mondiali di Spagna.

Non si può capire l’omelia di Mario Delpini se non ci si accosta con rispetto e curiosità alla chiesa di Milano e alla sua cultura. L’ottimismo e il vitalismo che – come tutte le cose – possono prendere strade sbagliate, sono una declinazione del modo cristiano di vivere e interpretare la vita.

Milano è anche però la grande centrale degli scambi e del confronto tra le forme che prende Cristo in Europa e nel Mediterraneo (nell’ambito di una naturale propensione all’accoglienza e all’ascolto, sociale quindi). Berlusconi parlava a tutti, anche a quelli che non lo volevano ascoltare (il vero sordo è quello).

Cadde su un problema di comunicazione. Il linguaggio della politica incardinata nei partiti, costituzionalmente separata dalla società civile e custodita da professionisti in carriera nella società politica, cedette il posto a una lingua pubblica e privata insieme. Fino al cortocircuito niente affatto etico, politico o giudiziario, ma puramente mediatico.

Tra le testimonianze più significative al funerale del presidente emerge quella del segretario del Partito Democratico, la quale conferma di avere ottimi consiglieri e futuro politico. Riconoscere il diverso come avversario e mai come nemico è faticoso ma saggio.

Unirsi di fronte alla morte è un atto di umiltà e di intelligenza. Anche adesione a principi e valori comuni, un bel passo avanti rispetto ai radicalismi ottusi dell’ultimo decennio. Questo va letto in chiave di ricostruzione di una identità civica e nazionale.