Il mondo di Trump, il presidente che dichiara di spostare l’ambasciata americana a Gerusalemme con tutto quello che ne consegue, non è più quello diviso dalle ideologie e neanche dall’economia.
Chi pensava che la globalizzazione trasformasse il pianeta in un villaggio globale di prosperità e pace si illudeva come la donzelletta che vien dalla campagna della poesia di Leopardi.
La religione ritorna impetuosamente sulla scena del mondo, e ogni scelta è un rischio. Come se non fossero un rischio le scelte del chirurgo in sala operatoria, dell’ avvocato nell’aula del tribunale, dell’artista sul palco o del giornalista durante la diretta che è, appunto, il bello della diretta.
L’ Europa continua a dire cosa non si deve fare. Il vecchio continente si limita a commentare la storia mentre l’ America seguita a farla. Ma quello di Trump resta un mondo nudo e crudo, nel quale ogni atto politicamente rilevante diventa doloroso, dall’immigrazione agli accordi commerciali fino ai gesti simbolici che riguardano valori e appartenenze, ma anche questioni concrete come le condizioni di vita degli esseri umani che vivono nel Vicino Oriente.
Di qui l’ auspicio che una scelta unilaterale possa servire ad affrontare con altrettanta decisione i problemi di milioni di persone.
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