Palcoscenico di se stessa?

uno scorcio della capitale della Sicilia

La città-palcoscenico ha avuto il vezzo di sentirsi palcoscenico del mondo, al crepuscolo del mondo, quando nelle zone di confine tutto appare più chiaro che al centro. Avvenne quando caddero i muri e tutto finì sottosopra, con grandi errori, iniquità e bassezze. La città che ha detto la sua ora tace, insieme col resto del mondo, perchè se dall’essere attrice e spettatrice del mondo ha tratto tutti i vantaggi, adesso ne sconta ogni pena. Ecco, quindi, che Palermo non ha solo l’opportunità di dimostrare come l’economia del futuro non distruggerà i posti di lavoro ma continuerà a crearli, perchè il lavoro nobilita l’uomo. Non solo può ricordare che la politica come testimonianza e azione continua ad essere la forma più alta di appartenenza alla propria comunità e di espressione dell’uomo. Ma può, ancora, fare cose belle e che restino. A patto che, piuttosto che palcoscenico d’Italia, diventi palcoscenico di se stessa. Teatro dei propri attori, protagonista della propria storia. Palermo non più metafora della Sicilia, non luogo dove scoprire ciò che (non) c’è altrove perchè altrove si ha troppo pudore per manifestarlo. Se anche dovesse essere soltanto luogo di ritrovo, ultimo bar rimasto aperto con gli arredi liberty e i camerieri in uniforme, nella selva di luoghi virtuali e menzogneri. Luogo dove costruire e coltivare e non più (o non solo) dove passare o rapinare. Recuperando, quindi, persone e cose del passato nell’arte e nella cultura, leader sociali  invece di giornalisti di regime, giudici corrotti e intellettuali senza intelletto.

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