Più di una donna

ph Julia Caesar su Unsplash

Tra le tante critiche che Byung-Chul Han muove alla società occidentale e alla sua cultura contemporanea c’è quella di avere distrutto l’erotismo, una pulsione che nasce con l’Occidente e che, per secoli, ha portato ogni occidentale che si rispetti in giro per il mondo a conquistare terre e mari, menti e corpi, a deliziare il suo reale augello.

Il pensatore cita, però, un film nel quale appare una figura eterna come la donna nella scena più archetipica che possa esserci, il nudo femminile sulle sponde rocciose di un fiume. Nella congiunzione carnale con la donna oggetto del desiderio maschile si cela un disastro, nel senso più pieno del termine, ovvero evento apocalittico, rivoluzione, ribellione all’ordine delle cose. Basterebbe ricordare un detto banale quanto terribile chi dice donna dice danno e, invece, occorre sempre tornare a quell’ incredibile racconto biblico in cui il re d’Israele vede, dalla terrazza della reggia, la donna che fa il bagno, molto bella di aspetto, riconoscendo Betsabea.

E Davide mandò messaggeri a prenderla, ed essa andò da lui ed egli dormì con lei, che si era appena purificata dalla sua impurità. Essi giacquero, ovvero si curcaru come si dice in siciliano. Il tradimento della regalità, l’infamia di cui si copre il capo politico è assurda, come assurda è l’ingiustizia, ma copre di assurdità il significato stesso del corpo femminile, il mistero della donna niente cui è stato dato in dono la bellezza, pupilla riflessa nello sguardo dell’uomo oppure più di una donna, more than a woman come cantavano i Bee Gees. Resta, nella evocazione di un mito mille volte riprodotto da tutte le arti, la funzione catartica e rivelatrice dell’erotismo. Nella cui perdita si cela la crisi profonda di una cultura.

 

 

 

 

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