
La capitale della mafia si trasformò in capitale dell’ antimafia. E, oggi, viene riconosciuta capitale della cultura, quale naturale corollario a un processo di cambiamento. Improvvisamente, però, Palermo si accorge che i suoi problemi a lungo sottovalutati la scoprono isolata, senza interlocutori, senza madre e senza pane. Fu detto chiaramente a suo tempo: i vincoli di bilancio; la rigidità che, alla fine, è politica; l’ assottigliarsi dei trasferimenti pubblici rendono impossibile il funzionamento decente dei servizi essenziali. Ma il punto rimane politico. Perchè la torsione occidentale in questa bizzarra transizione tra due millenni dirige pericolosamente verso due follie di chiara matrice marxiana: la prima è l’ idea che sia possibile fare a meno della politica per affrontare, discutere, sanare, risolvere i problemi della società. La seconda è che la società del futuro distrugga i posti di lavoro anzichè crearli. La capitale della Sicilia, nella sua arcaicità, nella sua antichissima e pervicace tensione verso l’ Occidente, può restare capitale se riesce a dimostrare che una società che faccia a meno della politica come confronto, compromesso e decisione non ha futuro. E che solo il lavoro come creazione, disciplina e promozione dell’ uomo può dare all’ uomo un futuro. Perchè solo a partire dalle città è possibile immaginare il futuro.