Il presidente della Repubblica ha detto che la libertà di stampa ha un grande valore. Siamo d’ accordo. Il problema è che, essendo questo principio contenuto nella Costituzione, il capo dello Stato non avrebbe potuto dire cosa diversa. In questo magmatico passaggio della vita pubblica italiana andrebbe studiata meglio la costituzione materiale. Come, a suo tempo, era al finanziamento della politica che occorreva dare uno sguardo più coraggioso prima che fosse tardi, come tardi, poi, fu. Pennivendolo o puttana il giornalista è sempre stato considerato. Cito Max Weber da “La politica come professione”, “Egli (il giornalista) appartiene a una specie di casta di paria che, in “società” vien sempre giudicata socialmente alla stregua dei suoi rappresentanti moralmente più spregevoli“. I giornalisti che hanno protestato nelle piazze dopo gli insulti di un ministro della Repubblica questo quasi certamente non l’ hanno letto. Come non avendo letto e non sapendo tante altre cose rischiano di non essere all’ altezza della situazione, si piegano ai compromessi con facilità e mettono, alla fine, tutta la categoria in difficoltà. La libertà di un giornalista è l’ unica forza che ha, ma la libertà va coltivata, è un diritto ma anche un dovere. Il problema non sono gli insulti. E nemmeno che provengono dal capo di un partito che ha numeri ed è riuscito e diventare forza di governo. Il problema è che, a causa dell’ incapacità e della debolezza dei media, connesse alla crisi dei partiti tradizionali a cominciare dal Pd, il malessere sociale è stato catalizzato da forze opposte al sistema democratico e a quello dell’ informazione che vi è collegato. Dal quale sono fuoriusciti molti talenti, mentre sono rimasti i passacarte della Rai, pagati dai contribuenti, oppure i registi, i complici e le veline della ormai sgamata antimafia di facciata.
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