Quel che resta dello Stato

Il coronavirus ha messo a nudo la crisi dello Stato italiano
ph Bertrand Gabioud on Unsplash

Tutto cominciò con quell’opera di smantellamento di strutture materiali e immateriali, quella stagione così bella e così dura, piena di avventura, ormai sono passati almeno 30 anni. In America ebbe il volto di Ronald Reagan. In Italia si confuse con le nostre tradizioni, prese forma e forme diverse. Ma nessuno si accorse del lento e inesorabile declino dello Stato, che forte non è mai stato.

Fino a quando una grave emergenza non solo mette in crisi la società civile o ne accentua la drammaticità, ma indica almeno altre tre emergenze che riguardano gli apparati pubblici, già moralmente sconfitti da quanto accaduto finora.

La sanità pubblica italiana, che vanta una plurisecolare tradizione di qualità e organizzazione, almeno nell’Italia centro-settentrionale, stenta ad affrontare un problema più grande di noi. Le proporzioni cinesi e asiatiche richiedono un approccio diverso, che ci ha spiazzati. Accecati dal nuovo, abbiamo dimenticato che l’Oriente e l’Occidente sono stati e seguiteranno ad essere due mondi lontani.

Soffrono di più le persone già sofferenti, come gli anziani e i malati gravi. Ma anche chi vive nelle carceri: inumane, sovraffollate, indegne. Pagando, spesso, più del necessario. Il paradosso è che, mentre i luoghi diventano non luoghi e quelli fatti per essere pieni, come piazze e locali, si svuotano di persone e di significato, mentre la gente che deve stare fuori si barrica in casa, nelle carceri – i non luoghi per eccellenza – accade l’opposto: chi dovrebbe stare dentro si fotte le chiavi, se ne esce, scappa. Ed emerge con chiarezza in quale inferno avesse vissuto. Se lo Stato non ha la forza di perdonare, di condonare, di alleviare la sofferenza, ciascuno si fa giustizia da sé, si autoassolve, va dove lo porta il cuore.

Infine l’istruzione: non ha senso seguire le lezioni da casa e fare i compiti online quando in tante case non ci sono i computer ma, soprattutto, quando la funzione della scuola, in tante realtà, soprattutto del Mezzogiorno, è di risolvere problemi sociali e non solo formativi.

Lo Stato, certo, sopravviverà, le sue colonne portanti non saranno abbattute, ma lascerà gli individui sempre più soli, sempre più distanti tra di loro e non solo per evitare i possibili contagi. Vigilandoli attraverso uno smartphone o una telecamera e magari, ogni tanto, chiedendo l’autocertificazione, un banale modulo prestampato che evoca il lasciapassare, quello di Fracchia, la belva umana, protagonista di un film con Paolo Villaggio di qualche decennio fa. Un lasciapassare: quel che resta dell’autorità pubblica nel tempo che verrà.

 

 

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