
Anche se nelle cose siciliane ciò che appare ovvio è uno, nessuno e centomila la confisca di un giornale da parte dello Stato non è cosa di poco conto. Anche perchè succede, sempre in Sicilia, che, ai convegni di giornalisti specializzati in cronaca giudiziaria, il magistrato parli per primo. Magari proprio a casa loro come nell’auditorium di una sede della televisione pubblica.
Il peccato originale si consuma nel 1992 quando i cronisti si trasformarono in addetti stampa delle procure mentre le procure si appropriavano del potere ideologico, quello che, per decenni, era appartenuto al Partito Comunista Italiano e che è di critica, di condizionamento dell’opinione pubblica, di assegnazione del diritto di tribuna. Che è legittimo, ma che, forse, era meglio che non fosse sottratto a un partito, perchè il partito comunicava con la società, i giudici no.
Basta chiedere a qualcuno degli ex dirigenti di quel partito di fare un bilancio della stagione dell’incredibile potere dei giudici. La libertà di stampa è la libertà del cittadino indifeso di fronte allo Stato, quella macchina che, nel secolo scorso, si è materializzata nella forma deformata del totalitarismo. La libertà di stampa è, dunque, una conquista borghese, della parte più dinamica e intraprendente della società.
La stampa delle origini è uno strumento di difesa di attività e di valori appartenenti all’ eroico individuo in lotta per difendere la propria libertà e quella dei suoi simili. L’atto di accusa lanciato da Émile Zola si riallaccia a questa tradizione, nella misura in cui la denuncia colta e coraggiosa contro la macchina che stritola l’uomo e le sue malefatte diventa denuncia contro uno Stato che minaccia la libertà tout court. La colpa della fine del giornalismo novecentesco è di chi, per pigrizia o per convenienza, ha lasciato che ciò accadesse.