Tragedia di una città

L’ evento che vede protagonisti i palermitani – abitanti della capitale italiana della cultura – è una tragedia, un conflitto tra due ragioni. Bello da vedere ma, forse, meno da vivere. C’ la ragione della tradizione: quella fenicia, quella occidentale, quella araba ed ebraica che nobilitano la sensuale e indecifrabile città, aristocratica nel tratto e nel pensiero. Città nobile perchè si è nobili in quanto antichi, come sanno bene oltreoceano. C’è poi la ragione della modernità, perchè la Sicilia – di cui Palermo è la più potente sintesi ed evocativa metafora – nella modernità non ci ha mai creduto fino in fondo. E senza torti perchè la modernità ha, da secoli, abbandonato il Mediterraneo, segue la rotta che da oriente porta ad occidente e, poi, ancora, fino all’ estremo occidente, dove la forma erode la sostanza, e la sostanza è fatta di uomini in carne ed ossa. Nella modernità non ci crede , non ci ha mai creduto l’ élite siciliana. Il problema, però, è che dietro la celebrazione della cultura e delle culture si nasconde un grande equivoco intorno alla società civile. La società civile non è quella che protesta per i diritti o per il lavoro nè tampoco l’ élite colta, ma quella terra di mezzo fatto di confronto e sperimentazione, di rischi, umanità, dove la libertà è anche libertà di peccare. Mortificare la società civile significa lasciare che i tanti palermitani che testimoniano la ricchezza del mondo antico greco, arabo, fenicio ed ebraico siano attori sulla scena di un grande spettacolo. Ma che restano fuori dal teatro in cui va in scena lo spettacolo del mondo.

Palermo

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