Trump chiude la stagione della caccia

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Il cittadino globale solo, in una guerra di tutti contro tutti, è il prodotto della temperie culturale degli anni 80. In quell’epoca il taglio delle tasse sulle persone negli Usa spinse i consumi alle stelle e l’edonismo diede un senso a quella stagione.

E’ stata la stagione della caccia; ciascuno, in misura della sua astuzia, forza e abilità, in cerca di cibo – giorno dopo giorno – nello spazio follemente dilatato, globale e interconnesso, in un delirio di antagonismo e piacere, fino alla crisi della finanza planetaria, a quel 2008 che, oggi, impone la fine di un modo di vivere, di pensare, di comunicare.

Ecco perchè il netto taglio delle tasse alle imprese voluto dall’amministrazione Trump, una riforma che punta alla tassazione territoriale, al rientro delle imprese dall’estero è, certo, un ritorno alla logica della produzione. Ma l’industriale che produce e investe è l’erede del coltivatore, con i suoi tempi lunghi, riflessivo e paziente. Egli è l’antagonista culturale del cacciatore che, nella sua versione estrema, diventa predatore, laddove le regole del diritto diventano fragili e quelle della morale evanescenti.

Donald Trump ha, dunque, chiuso la stagione della caccia, quel capitalismo nato negli anni di Reagan che finiva col premiare i predatori. Quel modo di interpretare la libertà all’ultimo stadio ha strangolato il mondo, ma quel mondo ha le sue radici in America e ora cerca nuove vie per ritrovare se stesso.

 

 

 

 

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